Quando la legge umana incontra la morale interiore
Sulla Via della Meditazione

Nel labirinto delle norme che regolano la convivenza civile, si cela una demarcazione concettuale di notevole portata, una distinzione che affonda le proprie radici nel pensiero illuminista e che ancora oggi sollecita profonde riflessioni. Separare nettamente la sfera del danno sociale da quella dell’offesa trascendente implica ridefinire i limiti dell’intervento giuridico e la natura delle responsabilità individuali. Se il diritto positivo si occupa precipuamente di tutelare il consesso civile dai comportamenti lesivi, stabilendo sanzioni commisurate al pregiudizio arrecato, la dimensione del sacro e della coscienza individuale attiene a un ambito differente, sottratto alla coercizione delle leggi umane. Questa disgiunzione, apparentemente ovvia, disvela implicazioni significative sul piano etico e sociale, invitando a una ponderata disamina dei confini tra ciò che attiene al foro pubblico e ciò che risiede nel recesso della coscienza personale. Tale riflessione, lungi dall’essere una mera disquisizione filosofica, interseca inevitabilmente il nostro modo di intendere la giustizia, la colpa e la libertà interiore, sollecitando una meditazione sui fondamenti stessi della convivenza umana e della responsabilità individuale.

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Reato e Peccato: quale la differenza?

“Nel 1764, nell’opera “Dei delitti e delle pene”, il giurista e filosofo milanese Cesare Beccaria declarò una distinzione temeraria per l’epoca: quella tra “peccato” e “reato” (ragion per cui l’opera fu destinata ad essere iscritta nell’indice dei “libri proibiti”).

Sulla scia del pensiero precursore di Thomas Hobbes (che già un secolo prima dichiarava che “se i reati son peccati… non tutti i peccati son reati”!), l’illuminista Beccaria sostené che:

– mentre il “reato” consisterebbe in un danno arrecato all’intera collettività, tale per cui il responsabile di tale atto meriterebbe di essere giudicato dalla Società nei modi e nelle forme dalla stessa stabiliti (diremmo oggi, dalla Giustizia ordinaria);

– il “peccato”, invece, non sarebbe altro che un’offesa arrecata a Dio, ragion per cui il suo autore meriterebbe (almeno per chi è credente) di essere giudicato (punito o perdonato) solo da Dio.

Cosa comporta tale distinzione?

Inevitabile conseguenza della distinzione logica tra “reato” e “peccato” dovrebbe essere la seguente:

– mentre il Diritto (la “legge positiva” o degli uomini) dovrebbe occuparsi solo dei reati (della configurazione giuridica della fattispecie e della previsione di una apposita sanzione per gli autori di reato);

– la Religione (la “legge divina” o di Dio), invece, dovrebbe occuparsi solo dei peccati (ossia prescrivere esclusivamente alla Comunità dei propri fedeli dei canoni etico-morali di comportamento, prefigurando l’eventuale punizione divina nel caso della loro trasgressione). …”

… Un articolo di Gaspare Serra pubblicato su nexusedizioni.it

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